10 Feb

 

IL SOLE 24 ORE

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Sconto in fattura o cessione credito anche per le barriere architettoniche

La detrazione per l’eliminazione delle barriere architettoniche (compresa l’installazione di ascensori e montacarichi) e le altre opere comprese all’articolo 16-bis, comma 1, lettera e) del Tuir – laddove eseguite come intervento trainato meritevole del Superbonus 110% – beneficia, a partire dal 1° gennaio scorso, dell’opzione per la cessione del credito o lo “sconto in fattura”. È quanto si ricava dall’ultima versione della Guida al Superbonus 110% presente da qualche giorno sul sito dell’Agenzia delle Entrate. L’interpretazione supera, in senso favorevole al contribuente, una dimenticanza del legislatore e prelude ad una modifica della «comunicazione di opzione» approvata con il decreto dell’8 agosto 2020 e già modificata con il decreto del 12 ottobre 2020. La lettera d) del comma 66 dell’articolo 1 della legge 178/2020 ha inserito nell’ambito del comma 2 dell’articolo 119 del Dl 34/2020, ossia tra gli interventi cosiddetti trainati, quelli finalizzati all’eliminazione delle barriere architettoniche, già prevista dalla lettera e) del comma 1 dell’articolo 16-bis Tuir nell’ambito del “bonus ristrutturazioni 50%” se effettuata in favore di soggetti portatori di handicap grave, a cui vengono aggiunti, ai fini del Superbonus, gli ultra 65enni.

L’Agenzia «rimedia» gli errori. La modifica è però imprecisa, in primo luogo perché non indica un limite di spesa e, in secondo luogo, perché non è coordinata con l’articolo 121 del Dl 34/2002. Quest’ultima disposizione, infatti, nell’elencare gli interventi per cui è possibile optare per la cessione del credito o per lo “sconto in fattura” non è stata aggiornata con la nuova previsione e cita esclusivamente le lettere a) e b) dell’articolo 16-bis. La Guida dell’Agenzia, però, oltre a confermare che il limite di spesa è quello “classico” dei 96mila euro, indica il nuovo intervento trainato tra quelli che, per le spese sostenute dal 1° gennaio 2021 al 30 giugno 2022 (e, alle condizioni di cui al comma 8-bis dell’articolo 119 del Dl 34/2020, fino al 31 dicembre 2022), possono essere oggetto di opzione. È del tutto condivisibile questa, che supera il mero dato letterale, non solo perché, diversamente, l’eliminazione delle barriere e l’acquisto degli ascensori sarebbe stato l’unico intervento trainato a poter fruire della sola detrazione, ma anche perché, al di fuori del superbonus, questi interventi rientrano spesso nella lettera b) del comma 1 dell’articolo 16-bis (recupero edilizio) e, quindi, erano già compresi nell’ambito dell’articolo 121 (risposta ad interrogazione parlamentare n. 5-04996 del 3 dicembre 2020). Non sarebbe stato coerente consentire la cessione o lo “sconto” nel bonus 50% e non prevederlo nel Superbonus.

Il limite. Il fatto che l’eliminazione delle barriere nasca nell’articolo 16-bis del Tuir spiega probabilmente il motivo per cui l’intervento sia stato inserito tra gli interventi trainati nel comma 2, dedicato all’ecobonus, e non nel comma 5, che avrebbe richiamato il sismabonus: i lavori per quest’ultimo, infatti, assorbono, nell’unico limite di 96mila euro, anche questo intervento. Resta un problema (minore). Il comma 3 dell’articolo 119 richiede, per tutti gli interventi di cui ai commi 1 e 2, il rispetto dei requisiti minimi “ecobonus” e del doppio salto di classe energetiche: richiesta che, per gli interventi anti-barriere, non ha alcun senso.

(Giorgio Gavelli)

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Nel supercondominio lavori per singolo edificio

Con risposta all’interpello n. 94 dell’8 febbraio 2021, l’Agenzia delle entrate interviene nuovamente in materia di superbonus 110 per cento, nello specifico relativamente alla sua applicazione nel “supercondominio”. Il quesito riguarda i lavori per il miglioramento dell’efficienza energetica attraverso la riqualificazione della centrale termica a servizio di tutti gli edifici. Viene segnalato inoltre che in alcuni condomìni, facenti parte del complesso, si sono deliberate ulteriori lavorazioni di isolamento termico delle facciate e del tetto per conseguire la diminuzione di due classi energetiche degli edifici interessati.

Fabbricati indipendenti. Il dubbio interpretativo, per cui è stato richiesto l’intervento dell’Agenzia delle entrate riguarda l’indipendenza dei fabbricati facenti parte dell’operazione. Difatti, tutte le palazzine oltre che il supercondominio dispongono di iscrizione in anagrafe tributaria, ovvero detengono un proprio codice fiscale. Pertanto, ritenendosi enti di gestione differenti, risulta lecito chiedersi se i lavori eseguiti nel supercondominio possano coniugarsi con altri, “trainanti” o “tranati”, eseguiti sulle singole palazzine per il superamento delle due classi energetiche necessarie per la fruizione del superbonus 110 per cento per parte energetica. Sul finire dell’anno 2020 l’agenzia delle Entrate, con la circolare 30/E, era intervenuta in materia con risposta ad uno specifico quesito postogli relativo alla sostituzione dell’impianto termico centralizzato.

La somma degli interventi. Nel caso di specie detta lavorazione non risultava sufficiente per il miglioramento delle due classi energetiche ma tale risultato sarebbe stato raggiunto solo per alcuni edifici oggetto di ulteriori interventi trainanti o trainati. L’Agenzia, nel caso di specie, consentì l’ammissione al superbonus solo per i condòmini che possedevano le unità immobiliari all’interno degli edifici oggetto dei predetti ulteriori interventi. Fu consentito ai restanti condòmini, possessori di immobili all’interno di edifici che con il solo intervento sull’impianto di riscaldamento non raggiungevano i requisiti previsti dall’articolo 119 del Dl 34/2020, di accedere all’ ecobonus di cui all’articolo 14 del Dl 63/2013. La risposta all’interpello n. 94 ha confermato questa linea dell’agenzia. Risulta irrilevante, ai fini di cui sopra, la circostanza che ogni condominio abbia il proprio codice fiscale e che la possibilità di fruire del Superbonus sia subordinata anche alla sostituzione della centrale termica del supercondominio che ha, a sua volta, un proprio codice fiscale.

(Andrea Cartosio)

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Se il condomino è fallito il sì al 110% in carico al curatore

Quando si parla di superbonus, incentivi fiscali, detrazioni, non dobbiamo dimenticare all’interno di questi meccanismi possono verificarsi eventi che possono incidere e pregiudicareoppure rallentare, quell’iter procedurale iniziato. Pensiamo al caso, non raro, in cui all’interno di uno stabile condominiale, la proprietà di uno o più immobili sia in capo ad una società. A volte, la stessa società costruttrice. Cosa accade se la società o l’imprenditore falliscono? Il primo comma dell’articolo 42 della legge fallimentare dispone che «la sentenza che dichiara il fallimento, priva dalla sua data il fallito dell’amministrazione e della disponibilità dei suoi beni esistenti alla data di dichiarazione di fallimento». Edancora, in base all’articolo 44 della legge fallimentare: «tutti gli atti compiuti dal fallito e i pagamenti da lui eseguiti dopo la dichiarazione di fallimento sono inefficaci rispetto ai creditori».

La sentenza. Fatta questa premessa, va considerato che con la sentenza dichiarativa di fallimento, il curatore fallimentare (nominato dal Tribunale) si sostituisce al proprietario, subentrando al condomino fallito. Questo comporta che sarà il curatore ad esercitare i diritti spettanti al condomino: sarà il curatore a dover essere convocato in assemblea ove sia stato posto all’ordine del giorno ogni decisione da assumere in ottica superbonus. E conseguentemente sarà il curatore a dover esercitare in assemblea il suo diritto di voto. Anche se non sarà un condomino al pari degli altri. Il curatore fallimentare, nominato dal giudice fallimentare e, dunque, da un Tribunale, avrà necessità, per assumere decisioni anche in merito al superbonus 110%, di essere autorizzato in tal senso. In base all’articolo 133 del Dlgs 14/2019, infatti, il curatore amministra il patrimonio del fallito agendo sempre sotto la vigilanza del giudice delegato e del comitato dei creditori. La questione si complica quando manca il consenso o se il fallimento non sia in grado di sostenere, nei confronti del terzo appaltatore, le somme allo stesso imputabili. Oppure quando i due terzi del valore dell’edificio siano in capo al costruttore dichiarato fallito. Pensiamo, ancora, al caso in cui il fallimento sia avvenuto successivamente al momento in cui il condomino abbia espresso la sua dichiarazione di volontà in favore della cessione del credito.

Il rebus morosità. Altro caso è quello in cui, se i lavori vengano approvati ma il fallimento non sia in grado di pagare, il debito dovrà essere distribuito in capo agli altri condòmini. Condòmini che, a loro volta, avranno diritto di rivalsa sul fallimento e potranno far richiesta di pagamento di quanto versato per conto anche del fallito, in prededuzione (articolo 30 della legge 220/2012). Insomma, il rischio di rallentamento è concreto ma va anche considerato che l’attività del curatore è di tipo negoziale e che egli avrà interesse a che il valore del bene amministrato aumenti, e dunque a relazionare giudice e comitato dei crediti i suoi vantaggi che l’iter del superbonus – una volta concluso – porterà all’immobile.

(Fabrizio Plagenza)

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ITALIA OGGI

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Niente 110% per il comodatario

Niente detrazione maggiorata del 110% per gli interventi di riduzione del rischio sismico eseguiti da un comodatario, persona fisica, su un edificio composto da due unità immobiliari censite in categoria “C/2”, funzionalmente indipendenti e autonome, che al termine dei lavori risulteranno destinate ad uso abitativo. I detti interventi, però, potranno beneficiare delle detrazioni ordinarie. Questa la precisazione formulata con una recente risposta ad una istanza di interpello (n. 87) dall’Agenzia delle entrate sul tema del superbonus, di cui all’art. 119 del dl 34/2020, convertito con modifiche nella legge 77/2020.

Sismabonus. L’istante ha evidenziato che il coniuge è proprietaria di un edificio collocato in zona sismica 3, diviso in due unità (rustico e deposito), censiti in catasto in categoria “C/2”, funzionalmente autonomi e che è intenzione della stessa di concedere il citato edificio allo stesso istante il quale, ottenuta l’autorizzazione per un intervento di ristrutturazione edilizia, chiede se gli interventi di ristrutturazione antisismica rientrano nella detrazione potenziata del 110%, se è possibile ottenere la detrazione maggiorata sulla installazione di un impianto fotovoltaico e, con riferimento al bonus mobili, se il tetto di 10 mila (di fatto 16 mila, con la legge 178/2020) possa essere considerato con riferimento ad ogni unità censite in catasto autonomamente alla fine dei lavori. L’Agenzia delle entrate fa il punto sulle disposizioni contenute nel richiamato art. 119 del dl 34/2020 e, con particolare riferimento agli interventi indicati nell’istanza, ricorda che con un recente documento di prassi (circ. 24/E/2020) ha precisato che il superbonus spetta a fronte del sostenimento di spese relative a taluni specifici interventi finalizzati alla riqualificazione energetica e per l’adozione di misure antisismiche, come indicato nei commi 1 e 4 del detto articolo, individuando ulteriormente su quali tipologie di edifici. L’Agenzia delle entrate si sofferma sulla nozione di condominio e rileva, innanzitutto, che la funzionalità indipendente e gli accessi autonomi assumono rilievo esclusivamente con riferimento agli interventi, trainanti, per l’efficientamento energetico, di cui al comma 1 del richiamato art. 119, mentre per quanto concerne gli interventi antisismici, di cui al comma 4, esistono soltanto gli edifici unifamiliari o le parti comuni di edifici composti da più unità immobiliari, a prescindere dalla indipendenza funzionale e dall’autonomia. Pertanto, resta inevitabile che il contribuente (comodatario) potrà accedere alle detrazioni per interventi antisismici ordinarie, attualmente indicate al comma 1-quinquies, dell’art. 16 del dl 63/2013, stante il fatto che, come indicato, detta agevolazione spetta anche per gli interventi sulle parti comuni in senso oggettivo, a prescindere dalla presenza di più proprietari nell’ulteriore considerazione che, se gli interventi antisismici fossero eseguiti direttamente dal proprietario, la situazione risulterebbe totalmente capovolta.

Demolizione e ricostruzione. Con un ulteriore interpello (risposta n. 88), l’istante ha dichiarato di aver iniziato, nel 2019, lavori di ristrutturazione edilizia con ampliamento su una unità immobiliare unifamiliare indipendente e prima casa, con isolamento delle strutture opache disperdenti e la sostituzione della caldaia a pompa di calore e che, pur consapevole che i lavori sono in corso d’opera, ha intenzione di fruire della detrazione del 110%. L’Agenzia delle entrate conferma che la detrazione maggiorata, di cui all’art. 119 del dl 34/2020, si rende applicabile anche agli interventi di demolizione e ricostruzione rientranti nella definizione di cui alla lettera d), comma 1, art. 3 del dpr 380/2001, dopo le modifiche operate da tempo, comprese quelle introdotte dal dl 76/2020 (lett. b, n. 2, comma 1, art. 10), tenendo conto che la qualificazione spetta al comune o ad altro ente territoriale competente e deve risultare dal titolo amministrativo che li autorizza. Naturalmente, essendo i lavori iniziati nel 2019, l’Agenzia delle entrate conferma che, alla detrazione maggiorata del 110%, accederanno le spese sostenute dall’1/07/2021 al 30/06/2022 e che il miglioramento energetico dovrà essere dimostrato dall’attestazione di prestazione energetica (Ape), ante e post-intervento, considerando l’edificio nella configurazione finale.

(Fabrizio G. Poggiani)

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Spese scolastiche nella precompilata, pronte le specifiche tecniche di invio

Definite le specifiche tecniche per la trasmissione telematica delle comunicazioni dei dati delle spese per la frequenza scolastica e dei relativi rimborsi, riguardanti tasse, contributi ed erogazioni, che andranno ad alimentare la dichiarazione precompilata a partire dal prossimo anno. I contribuenti troveranno, in questo modo, le spese scolastiche detraibili direttamente in dichiarazione. Il decreto del ministro dell’Economia e delle Finanze del 10 agosto 2020 aveva, infatti, previsto che gli istituti scolastici di ogni ordine e grado dovessero comunicare all’Agenzia delle entrate i dati riguardanti le spese scolastiche, le erogazioni liberali agli istituti scolastici e i relativi rimborsi, mentre aveva demandato a un successivo provvedimento del direttore dell’Agenzia la definizione degli aspetti tecnici riguardanti la trasmissione dei delle informazioni. Il provvedimento firmato oggi, 9 febbraio 2021, dal direttore Ernesto Maria Ruffini, quindi, definisce il tracciato delle specifiche tecniche da utilizzare e dà il via libera al corretto invio dei dati.

Modalità e termini di trasmissione. I soggetti tenuti all’adempimento dovranno effettuare l’invio utilizzando i servizi telematici Entratel o Fisconline e potranno avvalersi anche di un intermediario abilitato. Il provvedimento stabilisce che i dati trasmessi dagli istituti scolastici sono esclusivamente quelli relativi alle spese scolastiche sostenute con modalità di pagamento tracciabili e che non devono essere comunicati i dati delle tasse scolastiche versate tramite il modello di pagamento F24, in quanto si tratta di dati già in possesso dell’Amministrazione. Il provvedimento prevede, inoltre, che il dato del codice fiscale di chi ha materialmente effettuato il pagamento non è obbligatorio, ma deve essere indicato solo se l’informazione è nella disponibilità dell’istituto scolastico. A questa regola fa eccezione il dato del codice fiscale del contribuente che ha effettuato un’erogazione liberale all’istituto scolastico, che deve essere invece sempre indicato. Il termine per la trasmissione dei dati oggetto del provvedimento siglato oggi è il 16 marzo dell’anno successivo a quello di sostenimento delle spese, il medesimo previsto per la comunicazione dei dati relativi agli oneri e alle spese (articolo 78, commi 25 e 25-bis, della legge n. 413/1991) con riferimento ai dati relativi all’anno precedente, ai sensi dell’articolo 1 del citato decreto Mef del 10 agosto 2020.

L’invio si può integrare, modificare o annullare. È previsto l’invio ordinario con cui si comunicano i dati richiesti al quale possono seguire anche ulteriori invii per eventuali integrazioni dei documenti, l’invio sostitutivo per operare la completa sostituzione di una comunicazione precedente validamente acquisita, l’annullamento con cui si chiede la cancellazione di una comunicazione già inviata anch’essa acquisita con esito positivo.

Diritto all’opposizione. Il provvedimento di oggi disciplina anche le modalità di esercizio dell’opposizione all’inserimento dei dati delle spese scolastiche nella dichiarazione precompilata, un importante strumento di privacy per i contribuenti. Coloro che non vogliono che i dati delle spese scolastiche vengano inseriti nella dichiarazione precompilata possono, infatti, opporsi al loro utilizzo, comunicandolo direttamente all’istituto scolastico o inviando, via e-mail all’indirizzo opposizioneutilizzospesescolastiche@agenziaentrate.it un apposito modello all’Agenzia delle entrate. Per una maggiore tutela della privacy dei contribuenti, i dati delle spese scolastiche sono raccolti in uno specifico archivio, separato dagli altri archivi dell’Anagrafe tributaria, e non sono accessibili dall’Agenzia fino al termine per l’esercizio dell’opposizione.

Periodo transitorio. La trasmissione dei dati delle spese scolastiche è facoltativa per gli anni 2020 e 2021 e obbligatoria a partire dall’anno d’imposta 2022, come era stato già stabilito dal decreto del ministro dell’Economia e delle Finanze del 10 agosto scorso.

(Fisco Oggi, Vicenzo Papaccioli – www.fiscooggi.it)

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Niente sconto con “prima casa” ceduta e non riacquistata per tempo

In tema di agevolazione per l’acquisto della prima casa, è legittimo l’avviso di liquidazione dell’imposta di registro in misura ordinaria motivato dalla circostanza che i proprietari abbiano rivenduto l’immobile senza acquistarne un altro. Il principio è stato ribadito dalla recente ordinanza della sezione V della Corte di cassazione, n. 28048 del 9 dicembre 2020, la quale ha precisato che è irrilevante l’eventuale ulteriore acquisto di immobile avvenuto nel quinquennio.

L’agevolazione “prima casa”: qualche cenno. Con l’espressione “agevolazione prima casa” si allude alla riduzione delle aliquote prevista dalla legge per incentivare l’acquisto di immobili abitativi da parte di privati. In particolare, al ricorrere di determinati presupposti, conseguono la riduzione al 2% dell’aliquota dell’imposta di registro e il pagamento delle imposte ipotecaria e catastale pari a 50 euro ciascuna, a fronte di aliquote del, rispettivamente, 9%, 2% e 1%. Se il contratto è soggetto a Iva, invece, si applica l’aliquota del 4% (n. 21 della Tabella A, parte II, allegata al Dpr n. 633/1972) e le imposte di registro, ipotecaria e catastale ammontano a 200 euro ciascuna. I presupposti dell’agevolazione sono comuni ai contratti soggetti a Iva o a Registro in misura proporzionale, e sono prescritti dalla nota II-bis all’articolo 1, tariffa parte prima, del Dpr n. 131/1986. Deve trattarsi, in estrema sintesi, dell’acquisto della proprietà (o altro diritto reale di godimento; dal 2017 la disciplina è estesa anche al leasing abitativo) di un immobile situato nel comune nel quale l’acquirente, necessariamente una persona fisica, abbia – o si impegni a stabilire entro 18 mesi – la residenza o, in alternativa, svolga la propria attività. All’atto dell’acquisto (e non successivamente: tra le pronunce più recenti vedi Cassazione, 9 n. 21814/2020) chi compera deve, inoltre, dichiarare di non essere titolare di diritti reali su altro immobile sito nel medesimo comune né su altro immobile acquistato con agevolazione “prima casa” (o di altre agevolazioni analiticamente indicate) in tutto il territorio nazionale. Quanto alle caratteristiche dell’immobile, una volta soppresso nel 2014 il requisito della “non lussuosità”, da accertarsi in base ai parametri previsti dal Dm 2 agosto 1969, è sufficiente che l’abitazione non appartenga alle categorie catastali A/1, A/8 o A/9. L’agevolazione può venir meno per cause di decadenza, anche se sarebbe più corretto distinguere tra cause sopravvenute (come il mancato trasferimento della residenza nel comune entro 18 mesi) e omissioni “originarie” (ad esempio, l’immobile acquistato è di categoria A/1), e cause di revoca. Tra queste ultime vi è l’appunto l’alienazione infraquinquennale non seguita da riacquisto, oggetto dell’importante precisazione della Corte di cassazione.

La vicenda esaminata dalla Cassazione e la decisione. Ai sensi del comma 4 della citata nota II-bis, la revoca del beneficio consegue anche al “trasferimento per atto a titolo oneroso o gratuito degli immobili acquistati con i benefici di cui al presente articolo prima del decorso del termine di cinque anni dalla data del loro acquisto”; ciò a meno che il contribuente, entro un anno dall’alienazione della “prima casa”, proceda all’acquisto “di altro immobile da adibire a propria abitazione principale”. In tal caso, ai sensi dell’articolo 7 della legge n. 448/1998, spetta un credito d’imposta fino a concorrenza del Registro o dell’Iva corrisposte in relazione al precedente acquisto agevolato, con il limite dell’imposta dovuta per l’acquisto della nuova casa di abitazione. La ratio delle previsioni è chiara: il legislatore vuole che l’acquisto della casa di abitazione sia sufficientemente stabile nel tempo e, al contempo, intende prevenire fenomeni speculativi. Nell’ordinanza in commento, la Corte di cassazione ha esaminato, respingendolo, il ricorso di due comproprietari che avevano acquistato un immobile in data 22 ottobre 2003 per poi rivenderlo il 15 febbraio 2008, prima cioè che fosse decorso il termine di cinque anni, senza acquistarne un altro entro l’anno successivo. Nel ricorso i proprietari hanno dedotto l’omesso esame del fatto, a proprio dire decisivo, consistente nell’acquisto di un altro immobile avvenuto il 28 luglio 2006, cioè prima del decorso del quinquennio. La Cassazione ha tuttavia ritenuto, sulla base di un’interpretazione letterale della legge, l’irrilevanza dell’acquisto effettuato prima della rivendita della “prima casa”: il beneficio può essere conservato “solo in caso di acquisto di una (altra) “prima casa” dopo la vendita di quella comperata con benefici e non anche in caso in cui la rivendita sia preceduta da altro acquisto”. Come osserva la Corte, l’abitazione acquistata nel 2003, fino all’alienazione dell’altra casa avvenuta nel 2006, costituiva non già un’abitazione “principale”, bensì una “seconda casa”. Dopo aver ribadito la necessità di interpretare le disposizioni agevolative in senso restrittivo, la Corte aggiunge un argomento sistematico e osserva che solo dal 2016, con il nuovo comma 4-bis della citata nota 2-bis, è consentito al contribuente conseguire l’agevolazione “prima casa” non solo se sia privo di diritti acquistati con l’agevolazione, ma anche se, essendone titolare, li alieni nell’anno successivo al nuovo acquisto agevolato. Rispetto a tale ipotesi, definibile di “alienazione infrannuale postuma”, l’Agenzia delle entrate ha chiarito (circolare 12/E/2017) che, dovendosi tenere conto dell’obiettivo di agevolazione della sostituzione della prima casa, il credito di imposta spetta anche nell’ipotesi in cui si proceda all’acquisto della nuova abitazione prima della vendita dell’immobile posseduto in precedenza.

(Fisco Oggi, Andrea Gaeta – www.fiscooggi.it)

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